Il 13 febbraio di 50 anni fa scompariva Pinot Gallizio. Il cuore gli cedeva, come quasi con presagio aveva accennato nella sua ultima opera, L’anticamera della morte: vasi, brocche, mortai, utensili, una bilancia, un pendolo, persino un teschio, fissati per sempre in una nera immobilità su scaffali casalinghi. Chi era Pinot? Dapprima farmacista, pescatore, partigiano, archeologo, grossista di pere, caramellaio, aromatario ed alchimista. Poi pittore situazionista – dalla metà degli anni ’50 – dopo aver conosciuto il pittore danese Asger Jorn, fondatore del gruppo situazionista Cobra.
Gallizio divenne pittore che era già vecchio, aveva superato i cinquant’anni, ma tra gli avanguardisti europei brillava di luce propria, e giovanissima. Ideò nel 1958 la pittura industriale, metri e metri di tela dipinta e venduta a metraggio. Invitava i visitatori del suo studio a calpestare le tele dipinte; dipinse tra il 16 e il 17 ottobre 1962 La notte cieca, una tela di grandi dimensioni da lui realizzata durante due giorni ininterrotti di lavoro con un cappuccio nero in testa che gli impediva di vedere cosa stava dipingendo. Una troupe della BBC riprese l’evento: alla fine dei due giorni Pinot tolse il cappuccio e vide la sua opera: i segni sulla tela rappresentavano un misterioso volto di donna. Morì nel 1964 per attacco cardiaco. Tre giorni prima di morire dipinse tutto lo studio di nero, pavimenti, pareti, mobili e suppellettili, lasciò solo al centro della stanza una pietra dipinta di rosso avvolta in fascioni di gomma nera legati da uno spago.
Dérive Gallizio, il documentario.
Non ricordo esattamente come e perché la Fondazione Ferrero ci chiese di realizzare un documentario su Gallizio. Sicuramente fu Pietro Balla il motore della vicenda. Era tutto un gran fermento ad Alba, un progetto di almeno 5 anni era dedicato dalla Fondazione al loro artista sottostimato in patria come spesso accade (vedi Fenoglio). Storiche dell’arte come investigatrici della scientifica battevano palmo a palmo l’Europa tra gallerie e collezionisti per catalogare l’opera completa di Gallizio. Terreno vergine, personaggio folgorante, testimoni da scovare. E tutto questo accadeva in provincia di Cuneo, non a New York e neppure ad Amsterdam o Copenaghen. Noi volevamo girare il documentario come fosse Quarto Potere, qui il nostro Rosebund sarebbe stato il documentario della BBC girato per La Notte Cieca. Esiste, non esiste. Pinot istrione, geniale sperimentatore: la lettera di Carla Lonzi in cui lo maltratta accusandolo di aver fatto il dipinto per “ricatto”. Intervista alla sorella di Carla Lonzi, Marta, ritrovamento e lettura della lettera di Gallizio a Carla in cui si lamenta (di cosa?)… Intervista al figlio Giorgio che parla del padre. Intervista alla gallerista Liliana Dematteis (che cerca di fornire informazioni su Pinot, su La Notte cieca, sul diario che lei teneva in custodia, sul diario emozionale (che invece è andato perduto). Intervista (se Giorgio fosse stato d’accordo) alla moglie di Pinot, Augusta, che fu segretaria dell’Internazionale Situazionista (vedi lettera di Guy Debord nel diario…). E poi viaggio itinerante in mezza Europa: Parigi, Monaco, Amsterdam, Copenaghen. Pedinando il figlio di Pinot, Giorgio, il viaggio sarebbe stato anche una ricognizione sui vari movimenti europei (gruppo Cobra, lettrismo, Movimento per un Bauhaus Immaginista) che confluirono poi ne L’Internazionale Situazionista, nata nel luglio del ’57 a Cosio d’Arroscia.
Situazioni, speciali ossessioni e amateurs professionel
In realtà non ci siamo poi mossi molto da Alba, a parte un’incursione faticosissima – tutta d’un fiato andata e ritorno senza neanche dormire – in auto da Poirino alla Provenza per incontrare Ralph Rumney, che lì stava finendo i suoi ultimi giorni, alcolizzato, spietatamente lucido, come il vecchio Simondo. Tutti ex situazionisti, espulsi da Debord, prima dell’autoespulsione di Debord stesso suicida. Dunque nessun viaggio. Alba ci teneva incollati lì. In fondo non aveva radicato lì anche Pinot, anche il giovane Giorgio? La provincia, la casa, il caffé, la via maestra, le colline intessute di viti, il Tanaro, la pesca, i sassi, i contadini, gli amici, le ossessive certezze, il barolo, il nebbiolo, i tajarin, il tartufo. La ricerca di Pinot Gallizio catalizzava nuove presenze, Giorgio era la calamita discreta e generosissima.
Il documentario Dérive Gallizio, a ripensarci poi, è stato davvero una deriva, ricognizione mirabile per noi, intreccio di relazioni in cammino. Basta ri-guardarlo e dentro ci ri-troviamo noi, la nostra Quest, Pinot e gli altri. E a partire da lì soprattutto ri-troviamo Giorgio. Quando nasce ad Alba nel 1935 Giorgio Gallizio nasce figlio del farmacista Pinot e di Augusta Rivabella. Quando muore ad Alba, mercoledì 12 novembre 2003 – nella casa di famiglia che era già stata un convento e poi una fabbrica di caramelle e poi un laboratorio internazionale per una bauhaus immaginista – muore con lui Giors Melanotte, uno degli ultimi situazionisti italiani, figlio di Pinot, l’inventore della pittura industriale, tra i fondatori con Guy Debord nel 1957 a Cosio d’Arroscia dell’Internazionale Situazionista. Occhi acquosi, intensissimi, grandi baffi, Giorgio-Melanotte, riportava una somiglianza fisica impressionante con suo padre e un pensiero critico sull’opera paterna originale, lontano da ogni pretesa d’imitazione. In un’epoca in cui gli slogan erano “pane e lavoro” i situazionisti inventavano ad Alba “per un mondo peggiore”. Nell’aprile del 1958 Pinot, Giors Melanotte e Guy Debord presenziano all’ascolto, da un registratore, della traduzione italiana del Raport sur la costruction des situations, l’uditorio albese attonito. E poi partono le prime sperimentazioni su nylon, la pittura odorante, i colori sparati sulla tela cosparsa di vinavil, i colori frustati sulla tela. L’avanguardia basata sul concetto di amateur professionel, e su quello di ignoranza critica. “Siamo una generazione di farmacisti falliti – diceva Giorgio – io penso di averlo fatto per sei mesi il farmacista, a Cuneo, poi sono scappato”. Sul tetto del garage – che all’epoca era il laboratorio per una Bauhaus immaginista – Giors e Pinot hanno dipinto il “tetto” della Caverna dell’Antimateria: “dalle finestre gli albesi si affacciavano e guardavano dicendo “Ecco Pinot il pazzo”, allora decidemmo di comprare degli scacciacani, riempimmo dei palloncini di colore e ci infilammo gli scacciacani dando fuoco alla miccia. Quando scoppiavano si creavano come dei fuochi d’artificio, e la gente ebbe il suo spettacolo”. Ecco la situazione. “Io sono del ’35, avevo 23 anni quando si facevano i monotipi, qui in cantina. C’era la sorpresa di vedere mio padre che dipingeva, sperimentava. Questo viavai in casa con Jorn, Constant, Debord. Non capivo se era una cosa seria o un gioco. Se l’avessi saputo mi sarei ritirato ancora prima. Dopo l’esposizione della pittura industriale in una personale di Pinot allo Staedelijk Museum di Amsterdam siamo stati espulsi dall’Internazionale situazionista. Mio padre è morto nel 1964, aveva 62 anni. Allora io mi sono tirato fuori dal mondo dell’arte. Sono rimasto deluso anche dalla cortina di silenzio che calò sulla sua opera”.
Giors Melanotte (notte melanconica) e il cinema
Giorgio/Giors l’abbiamo conosciuto a metà degli anni ’90 dentro lo sferisterio di Alba – ormai utilizzato solo nella parte bar e osteria – un giorno mentre Pietro Balla stava girando un piccolo documentario sul pallone elastico per un telegiornale un po’ pazzo voluto da Carlo Freccero e Enrico Ghezzi, che poi non s’è più fatto. Si è avvicinato e ha detto: “Anche io ho fatto cinema, a Roma, a Cinecittà”, e mai Cinecittà ci è sembrata più lontana. Giorgio l’abbiamo costretto a indossare il camice nero di suo padre per mostrare la tecnica della pittura industriale davanti ad una telecamera. Mai ci è stata più chiara la differenza tra guardare e vedere. E mentre maneggiava i colori sulla lastra di vetro, spianava la carta, controllava che non seccasse troppo, dalla sua memoria ritornavano gli anni della fuga romana, quando a Cinecittà era l’aiuto regista di Lucio Fulci. I titoli sono: Come inguaiammo l’esercito, I due evasi di Sing Sing, 002 abbronzatissimi. I personaggi che si affollano nei caffè artistici sono: Flaiano, Talarico, Plinio De Martiis, Citto Maselli. “Lucio Fulci era un isterico, geloso, ma bravissimo. Stava seduto sulla sua sedia e si divertiva a buttarsi addosso la cenere delle sigarette mentre le fumava. Poi c’era quel gruppo di eccentrici, erano tutti nipoti di Pirandello, che aspettava al caffè Rosati che la Siae liquidasse i diritti delle opere”. Roma è stata una fuga breve, un’ubriacatura privata forse per cercare di “evitare il conflitto con mio padre” – come confessò Giorgio in una delle sue ultime interviste in occasione del centenario della nascita di Pinot – “alla fine ho sopportato bene la sua personalità e posso raccontare di lui perché ho cercato veri contatti e soprattutto non ho mai preteso di imitarlo. E’ il solo merito che mi riconosco”. Il ritorno al mondo paterno fu all’inizio del 1964 quando Pinot, in una sorta di presagio funebre, stava costruendo la sua ultima opera L’anticamera della morte: una scaffalatura che occupava due pareti dell’ex fabbrica delle caramelle Valda, sui ripiani gli oggetti repertorio della propria esistenza, vasi, mortai, utensili, un teschio, tutto ricoperto da una mano uniforme di pittura nera. Considerata da Giorgio una sorta di testamento spirituale, un’opera con la quale era rimasto in un contatto emotivo profondo, e da cui difficilmente riusciva a separarsi per lasciarla esporre in una mostra. Il 13 febbraio 1964 Pinot Gallizio muore a soli 62 anni, da quella data Giorgio non lascerà più Alba se non per brevi viaggi. Rewind. Mentre Giorgio Gallizio con il camice di Giors Melanotte ripercorreva la sua vita situazionista riaffiora il ricordo di una mostra dell’89 a Londra, An endless adventure, an endless passion, an endless banquet. The Situationist International: “Ero stato invitato a Londra per una mostra, e c’era un gruppo di post-situazionisti inferociti che, sapendo che Melanotte avrebbe parlato al convegno, lo aspettavano. Avevano scritto per terra uno striscione minaccioso ‘Melanotte è qui’, io ci camminavo sopra e mi guardavo attorno. Melanotte è morto lì, l’hanno ucciso a Londra!”. Un sorriso ironico, Giorgio ripulisce il vetro dei monotipi, si toglie il camice nero, lo poggia su una catasta di legna. Esce di scena, la camera continua a girare, la cantina rimane vuota. E ritrovo un vecchio appunto di 14 anni fa, mentre stavamo girando il nostro documentario Dérive Gallizio, nel file che nominai “che cosa manca”: Lettera non datata (presumibilmente del giugno ’61) con riferimento ad un espresso di Maurizio Corgnati che Carla Lonzi ha appena ricevuto. Nella lettera Carla parla del documentario su Pinot che Corgnati vuole fare: “un documentario è una cosa che non si può sbagliare…non lo togli più dalla mente (anzi dagli occhi)”.
Monica Repetto, regista con Pietro Balla di Dérive Gallizio
Il documentario su Onthedocks: